L’utilizzo delle Campane Tibetane è di per sè una pratica che ci riporta a meditazioni rilassanti, a suoni celestiali con i quali cullarci magari durante una meditazione, un bagno caldo o una semplice serata in compagnia di amici con cui condividere questi piccoli doni.
La facoltà di creare disturbi, come spesso avviene con qualsiasi mezzo si utilizzi, non è tanto dovuto al mezzo in sè, quanto all’utilizzo improprio da parte di chi ne fruisce.
Cerco di spiegarmi meglio: possiamo ad esempio utilizzare la campana tibetana per indurre uno stato di rilassamento e quindi di meditazione, le vibrazioni (se la campana è stata scelta con accortezza all’atto dell’acquisto) favoriranno questo processo e ci caleranno più rapidamente nello stato desiderato. Un utilizzo prolungato (questo tempo è ovviamente soggettivo, ma per iniziare si sconsiglia di andare oltre i 10/20 minuti) però potrebbe sortire effetti indesiderati quali: fastidi fisici ( soprattutto ove la vibrazione è avvertita più chiaramente) come mal di testa, nausea, vertigini, disorientamento e perdita di centratura.
Queste piccole indicazioni non sono atte a voler “spaventare” o intimorire chi cerca un approccio con questi bellissimi strumenti, ma solo dei consigli per far si che questa esperienza sia e rimanga piacevole.
Come per tutte le cose la discriminante la diamo noi, siamo noi i migliori “medici” di noi stessi, quindi all’avviso di un primo iniziale stato di tensione potrete abbandonare l’utilizzo delle campane, lasciare decantare e assestare il lavoro fatto fino a quel momento e riprendere con calma in un’altra sessione o momento.
A meno che…
e qui si apre effettivamente un altro capitolo, che come sempre rimanda alla soggettiva percezione. Potremmo per esempio chiederci: “perchè sto provando questo?” oppure “cosa la vibrazione di questa campana sta sollecitando in me?”, domande molto importanti ma che molto spesso o non vengono poste o non vengono risposte.
Ogni vibrazione con cui veniamo in contatto va a “contattare” uno spazio della nostra coscienza che, inevitabilmente, risponde rispetto “il materiale di cui è composta”. Quindi più quello spazio è refrattario ad una armonizzazione (ricordiamoci anche che non è questione di giusto o sbagliato ma è sempre un’esperienza che deve compiersi, quindi sempre e comunque buona, soggettivamente parlando) più sarà repulsiva e potrà essere quindi soggetta a reazioni anche sproporzionate rispetto la situazione che si sta vivendo. Con il tempo impareremo a riconoscere quegli spazi, a “conquistarli”, includendoli in noi e facendo sì che non emanino più frequenze distorte.
Fino a quel momento, sperimenteremo, basandoci sull’esperienza maturata fino a quel punto, concedendoci di conoscerci un po’ di più, quando lo riterremo possibile, la vita poi farà il resto…